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La “strana morte” del comportamentismo radicale

Freddy Jackson Brown e Duncan Gillard affermano che il comportamentismo ha un ruolo fondamentale non soltanto nell’ambito della psicologia ma anche nella società

Ben lungi dall’essere morte, molte delle idee del comportamentismo radicale sono alla base della psicologia scientifica contemporanea.

Questo articolo pone l’accento su come l’influenza del comportamentismo radicale sullo sviluppo della scienza, dell’evoluzione, delle psicoterapie basata sulla mindfulness, della neuroscienza, dell’epigenetica e della politica, stia giocando un ruolo importante nella nostra società.

Il Comportamentismo è morto. Uno dei primi capitoli della storia della psicologia. Sin dagli esordi la sua portata veniva considerata ristretta e le sue teorie semplicistiche; venne di conseguenza messo in ombra dalla rivoluzione “cognitivista” diversi decenni orsono. Queste opinioni sono reperibili su diversi libri di testo, giornali e pubblicazioni di rilievo (e.g. Baron-Cohen, 2014; Miller, 2003).
Essere un “comportamentista”, così sembra, significa essere una vestige della psicologia del passato.
Potrebbe dunque risultare sorprendente per alcuni, che il comportamentismo radicale – e la sua scienza, l’analisi del comportamento – siano in effetti fondamentali.
Per parafrasare Mark Twain, “I resoconti sulla morte del comportamentismo sono stati di gran lunga esagerati”.

Scienza della costruzione sociale

Skinner definì il “comportamentismo radicale” come la “filosofia” della scienza del comportamento. In tale ottica, per “comportamento” si intende tutto ciò che fa l’organismo, che per gli esseri umani include esperienze private, come pensieri ed emozioni. Questo è ciò che lo differenzia dalle prime forme di comportamentismo, che si concentravano unicamente su azioni osservabili. Da qui l’aggettivo “radicale”.

Un aspetto meno apprezzato del comportamentismo radicale, è il rifiuto dell’idea positivista secondo cui il mondo possa essere oggettivamente conosciuto. Esso vede infatti la conoscenza scientifica come una costruzione sociale. Nel comportamentismo radicale, la scienza è una forma di attività umana (anche se altamente specializzata) e come tale è soggetta alla stessa analisi contestuale di ogni altro comportamento.

Con le sue origini nel pragmatismo americano di William James, John Dewey e Charles Pierce (vedi Menand, 2001), il comportamentismo radicale vede la scienza come un metodo per trovare modi utili di parlare, e quindi, di relazionarsi con il mondo, e non di scoprire la “vera” o ultima natura della realtà. In effetti, un simile compito è impossibile perché nessuna scienza può mai fornire una prospettiva obiettiva o pienamente oggettiva.

Il concetto alla base della visione che il comportamentismo radicale ha della scienza, è l’invenzione (Hayes e Follette, 1992). Esso vede la scienza come il processo attraverso il quale “inventiamo” (nel senso creativo di ideare o formulare) “modi di parlare sul mondo” che possano rivelarsi utili. L’idea è che possa esserci un “mondo reale” fuori, ma che non possiamo conoscerlo davvero per quello che è, oggettivamente. Questa visione della scienza contrasta con quella più tradizionale, che la considera il processo attraverso il quale stiamo letteralmente scoprendo la natura profonda e definitiva del mondo che ci circonda.
Il comportamentismo radicale rifugge questa visione positivista ed è esplicitamente non-ontologico (Barnes-Holmes, 2000).

Sebbene spesso si pensi che sia meccanicistico, il comportamentismo radicale può essere meglio compreso nell’ambito di un contestualismo filosofico (Hayes et al., 1988).

Il contestualismo comprende una serie di modelli filosofici, incluso il costruttivismo sociale, che è attualmente popolare nell’ambito della scienza psicologica (Gergen, 2001) ed è particolarmente rilevante nella pratica clinica (ad esempio Rapley et al., 2011). Provenendo dalla stessa posizione filosofica, non sorprende che il costruttivismo sociale e il comportamentismo radicale abbiano molto in comune su questioni legate alla pratica clinica. Infatti, le riserve espresse dalla British Psychological Society (BPS, 2011) nei confronti della nosologia del DSM che tende a decontestualizzare le persone e a trascurare l’esperienza soggettiva, vengono pienamente condivise da importanti analisti del comportamento (per esempio Hayes et al., 2011).

Apprendere un processo evolutivo

Negli ultimi anni la psicologia evolutiva (EP) ha cercato di dare un senso al comportamento e all’attività umana all’interno di una cornice darwiniana.
I tratti e le abilità umane sono concepiti come adattamenti psicologici evoluti nello stesso modo in cui il nostro corpo è visto come un insieme di adattamenti biologici evoluti. Una delle critiche più comuni all’EP è che i contesti evolutivi che presumibilmente hanno dato origine ai nostri tratti e abilità psicologici sono storici e quindi non osservabili e non verificabili. In quanto tale, i critici sottolineano che le dichiarazioni esplicative del PE sono altamente speculative e potrebbero essere poco più di storie “Just so” (Rose & Rose, 2000).

Il comportamentismo radicale comprende anche l’attività umana all’interno di una cornice darwiniana, ma che può essere studiata direttamente nel presente mentre evolve.
L’apprendimento è inteso come il processo attraverso il quale ci adattiamo ai nostri ambienti nell’arco della vita. L’apprendimento si verifica quando le variabili comportamentali vengono selezionate dall’ambiente e quindi è più probabile che si verifichino nuovamente in futuro. Skinner definì questo processo “selezione basata sulle conseguenze” (comunemente indicato come rinforzo) poiché le conseguenze prodotte da un comportamento aumentano o diminuiscono la probabilità futura della sua ripetizione (Skinner, 1987).

Proprio come Darwin ha spiegato il modo in cui le specie si adattano ai loro ambienti nel tempo attraverso il processo di selezione naturale, Skinner ha spiegato come gli organismi individuali si adattano ai loro ambienti nel corso della loro vita attraverso l’apprendimento (cioè la selezione ambientale che agisce sul comportamento). E non si tratta di speculazione. La selezione naturale del comportamento non è una teoria o un’ipotesi, è un processo direttamente osservabile che è stato ampiamente studiato in laboratorio e nelle situazioni quotidiane.

Linguaggio e psicoterapia

Uno dei più curiosi malintesi a proposito del comportamentismo radicale, è che non possa spiegare un comportamento complesso come il linguaggio. Sembra che il colpo mortale al modello sia stato inferto dalla recensione che Chomsky fece, nel 1959, sul “Comportamento Verbale” di Skinner. Peccato che questa considerazione sia completamente sbagliata. L’esame di Chomsky, non costitutiva un commento alla posizione funzionalista di Skinner (Andresen, 1991; MacCorquodale, 1970).

È vero che, quando i primi ricercatori del comportamento, hanno cominciato a studiare il linguaggio, si sono focalizzati sugli animali e sulle persone con sistemi di comunicazione meno sviluppati. In ogni caso si è trattata di una strategia di ricerca iniziale e l’intento è sempre stato quello di passare ad analisi più complesse in seguito.

E tale intento ha cominciato a prendere piede nei primi anni ’80, quando Murray Sidman e i suoi colleghi, fecero una serie di scoperte che portarono alla teoria dell’equivalenza degli stimoli (Sidman, 1994) e alla successiva teoria dei frame relazionali (RFT: Hayes et al., 2001). I dettagli di queste teorie vanno oltre lo scopo di questo articolo, ma in sostanza descrivono quanto gli uomini competenti sotto il profilo linguistico siano in grado di invertire e combinare stimoli in relazione tra loro, di tipo appreso e derivato.

Il modello base dell’apprendimento di risposte basate su relazioni tra stimoli può essere descritto in maniera approssimativa così: quando una persona verbalmente competente apprende a rispondere a stimoli che stanno in relazione fra loro, gli stimoli coinvolti in queste discriminazioni spesso entrano in una rete di relazione più ampia di quella appresa e non direttamente insegnata. Nelle esperienze di laboratorio sono stati usati stimoli visivi, uditivi (Sidman 1971), olfattivi (Annet, Leslie 1995); gustativi (Hayes, Tilley, Hayes 1988).

Tale abilità potrebbe sembrare banale, ma altri animali, compresi i primati, trovano molto difficile farlo e solitamente falliscono, se non in condizioni sperimentali strettamente controllate. È un’abilità che consente agli esseri umani di collegare tutti i tipi di eventi e stimoli (compresi pensieri ed emozioni) in relazioni arbitrarie e sembra essere ciò che distingue il linguaggio simbolico umano da altre forme di comunicazione animale.

I principi di base dell’analisi del comportamento, tra cui l’equivalenza degli stimoli e la RFT, sono stati tradotti in importanti modelli terapeutici quali l’ACT – Terapia dell’Accettazione e Impegno (ACT: Hayes et al., 2011) e la Terapia Dialettico Comportamentale (DBT: Dimeff & Lineham, 2001).

È interessante notare che molti clinici non sono consapevoli delle origini di questi modelli. In fondo ciò che più conta è che siano utili per i clienti.

Una partnership con neuroscienza ed epigenetica

Il comportamentismo radicale è interessato al nostro funzionamento biologico e neurologico. Anche se spesso si dice che ignori i nostri processi biologici considerandoli come una “scatola nera”, questa visione non è accurata. Skinner (1974) è stato piuttosto esplicito su questo tema e ha scritto: “L’organismo non è vuoto, ovviamente, e non può essere adeguatamente trattato come una” scatola nera “(p.233).

Tuttavia, non abbiamo bisogno di capire cosa stia succedendo dentro di noi per studiare le nostre relazioni funzionali con l’ambiente esterno. È dunque possibile indagare il modo in cui ci relazioniamo al nostro contesto, mentre, parallelamente, le neuroscienze studiano i meccanismi biologici interiori. I dati provenienti da un settore della scienza non invalideranno quelli derivanti dall’altro, perché, in parte, si pongono domande diverse. Mentre la neuroscienza cerca di fare luce su come i processi neurologici si rapportino al nostro comportamento, non può spiegare il significato contestuale comportamento stesso.

Potrebbe, un giorno, spiegare cosa succede nel nostro cervello quando pensiamo e facciamo cose diverse, ma non il perché facciamo o pensiamo quelle cose. Ad esempio, le neuroscienze possono identificare quali parti del nostro cervello sono attive quando pensiamo di giocare a tennis, ma non perché stavamo pensando proprio al tennis o cosa significhi tennis. Ciò richiede un’analisi contestuale, e questo è il regno della psicologia (vedi Alessi, 1992).

Il comportamentismo radicale vede la psicologia e la neuroscienza come strettamente connesse e interdipendenti. La neuroscienza approfondisce la comprensione del funzionamento umano fornendo informazioni su come, ad esempio, gli eventi passati influenzano il comportamento futuro. Dall’altro lato, la scienza psicologica contribuisce a fornire materia di ricerca ai neuroscienziati, indicando delle potenziali aree di interesse. Esponenti delle neuroscienze come Shallice e Cooper (2011) hanno a proposito scritto: “Senza un’adeguata task analysis, interpretare i risultati delle risonanze magnetiche funzionali, è poco più vantaggioso che cercare di leggere le foglie da tè” (p.186). La neuroscienza necessita di un’analisi contestuale coerente per poter organizzare la sua attività e dare un senso ai suoi dati. Le due scienze hanno bisogno l’una dell’altra.

L’epigenetica è lo studio dell’espressione dei geni e della ereditarietà fenotipica che si verifica senza cambiamenti nella struttura di base del DNA (Jablonka & Lamb, 2005). Se un tempo veniva considerata un nonsense Lamarckiano, ad oggi l’epigenetica sta alimentando la nostra comprensione sul modo in cui i nostri genomi interagiscono con l’ambiente.

Michael Meaney e colleghi, ad esempio, hanno studiato due gruppi di “topi madre”: il primo gruppo (HLG) di topi madri lisciava e leccava con elevata frequenza i propri piccoli mentre il secondo gruppo (LLG) mostrava una bassa frequenza dello stesso comportamento di “accudimento”.

Meaney scoprì che i topi erano stati abbondantemente accuditi dalle loro madri, mostravano una maggiore tolleranza allo stress nel corso della crescita; questa esperienza produceva una differenza fondamentale per i piccoli ratti, perchè rendeva il loro cervello in grado di affrontare le esperienze stressanti; i cuccioli accuditi crescevano tranquilli e resistenti allo stress, mentre quelli che lo erano stati raramente diventavano paurosi e ipersensibili allo stress, inclini a bloccarsi per la paura di fronte a stimoli non familiari o inaspettati.

Dato che le femmine tranquille e premurose avevano cresciuto topi tranquilli, mentre le meno accudenti avevano cresciuto topi con minore tolleranza allo stress, sarebbe stato ovvio concludere che l’ansia e la capacità di coping, o la “tranquillità”, siano tratti genetici, ereditari e stabili. Ma Meaney era poco propenso a crederci, così fece allevare alle madri LLG i figli delle madri HLG e alle madri HLG quelli delle LLG. L “apprendimento” ha vinto sulla natura: i cuccioli delle madri LLG, ansiose e negligenti, accuditi dalle madri tranquille e premurose, crebbero tranquilli, giocosi e bene adattati all’ambiente, come le madri adottive; i figli delle madri tranquille e premurose, cresciuti da quelle ansiose e negligenti purtroppo hanno avuto la peggio: a dispetto delle promesse genetiche, crebbero nervosi e agitati, sobbalzando ad ogni stimolo inatteso e tremando di paura in ambienti sconosciuti.

Ci fu un altro aspetto importante: quando i ratti adottati crescevano e diventavano genitori, si comportavano come le madri adottive, piuttosto che come quelle biologiche: quelli cresciuti da madri che si erano diligentemente occupate di loro, trattavano i loro piccoli allo stesso modo, mentre le femmine allevate da madri negligenti erano esse stesse negligenti con i loro cuccioli. Sembra dunque che i topi avessero ereditato un determinato stile di comportamento da madri con cui non condividevano gli stessi geni: un trionfo dell’Ambiente sulla Natura. Si potrebbe concludere che le madri, in qualche modo, abbiano insegnato ai loro cuccioli adottivi come comportarsi e come trattare a loro volta i propri cuccioli o che, quantomeno, abbiano modellato il loro comportamento, rendendoli topi ansiosi, oppure calmi.

Quello che Meaney e i suoi colleghi scoprirono è che il gene che ordina la produzione dei recettori per l’ormone dello stress può essere alterato dalle esperienze di vita precoci; verificarono che il gene era circa due volte più attivo nei cuccioli allevati da una madre responsiva e supportante rispetto a quelli allevati da una madre negligente.

L’epigenetica sta appena iniziando a capire come gli eventi ambientali influenzino l’espressione dei nostri geni nelle generazioni attuali e future. L’analisi del comportamento è in prima linea nel collaborare con i ricercatori epigenetici in questo viaggio, in parte perché condividono un modello evolutivo, ma anche perché l’analisi comportamentale ha una ricchezza di teorie e metodi che descrivono la nostra relazione contestuale con l’ambiente, qualcosa di necessario agli epigenetici per tracciare come questo influisca sull’espressione genica.

Aggiornamenti da “nessun luogo”

Il comportamentismo radicale è spudoratamente utopico. L’utopia non è ingenuamente concepita come un luogo o una destinazione (il termine è stato coniato da Thomas More dal greco antico che significa “Nowhere” dopo tutto), ma piuttosto come un ideale per cui lottare. Lo scopo della scienza psicologica è quello di contribuire a rendere il mondo un posto migliore, più equo, più sicuro e più sostenibile. Questo è il valore del viaggio che il comportamentismo radicale intraprende nella direzione del sogno utopico. Non è raro, ad esempio, vedere le magliette con la scritta “Salvare il mondo con l’analisi del comportamento” alle conferenze sull’ACT e sull’analisi comportamentale. Si potrebbe criticare la presunzione, ma sicuramente non l’ambizione.

Skinner fu influenzato dalle idee del filosofo Francis Bacon (XVII secolo), che vedeva lo scopo della scienza nel “miglioramento della proprietà dell’uomo”. Molto prima che diventasse “di moda”, il comportamentismo radicale era preoccupato per l’ambiente, l’inquinamento, la sovrappopolazione e l’esaurimento delle risorse (ad esempio Skinner, 1987). Per Skinner questi problemi riguardavano prettamente il comportamento umano e desiderava che la scienza avesse qualcosa da dire su di loro.

Oggi, la scienza psicologica gioca un ruolo sempre più importante nella comprensione del modo in cui il comportamento umano si organizza e gli psicologi stanno dando un contributo positivo a tutti i livelli della società. Il Cabinet Office del governo del Regno Unito, ad esempio, ha istituito il “Behavioural Insights Team ” con l’obiettivo specifico di utilizzare le conoscenze e i metodi psicologici per fornire e migliorare la politica sociale. Nel sistema sanitario nazionale, terapie come ACT e DBT stanno contribuendo a migliorare il benessere psicologico aiutando le persone a vivere una vita più significativa. Nell’ambito dell’educazione, gli psicologi hanno sviluppato importanti strumenti di alfabetizzazione e calcolo e. il sistema di scambio di immagini (PECS) si trova nella maggior parte (se non tutte) delle scuole speciali nel Regno Unito. Il sistema Positive Behavior Support (PBS), sostenuto dal governo (Department of Health, 2012), costituisce l’impalcatura primaria per supportare persone con deficit nell’apprendimento e gestire comportamenti problema. Lo stesso succede in altri ambiti di vita: marketing e affari; alimentazione sana e dieta; sport e sicurezza stradale. La lista potrebbe continuare all’infinito. Il punto in cui la psicologia fa la differenza nella società è questo, e i modelli basati esplicitamente sul comportamentismo radicale hanno un ruolo centrale da svolgere.

Morire di successo


Fu lo storico Thomas Leahey a scrivere per la prima volta sulla “strana morte” del comportamentismo radicale (Leahey, 1992). Notò che nonostante tutti i necrologi, l’analisi comportamentale era in effetti in buona salute e nel corso dei decenni aveva continuato a prosperare e crescere in termini di numeri e influenza.

Se da una parte esiste una distinta comunità di analisti del comportamento all’interno della scienza psicologica, molte delle idee del comportamentismo radicale sono ora diventate parte del pensiero e della pratica convenzionale nella psicologia e nella società. “Il comportamentismo è morto, lunga vita al comportamentismo”, ha scritto Steve Hayes riflettendo sul fatto che molte persone aderiscono alle idee e ai principi del comportamentismo radicale senza nemmeno sapere che lo stanno facendo (Hayes, 1987). Ha notato questa tendenza 25 anni fa ed è ancora più vero oggi. Di tale portata è stata la diffusione e applicazione delle idee di Skinner che Henry Roediger III (2004) presidente dell’Associazione per la Scienza Psicologica, ha concluso che il comportamentismo “in realtà ha vinto la battaglia intellettuale” e “davvero, tutti gli psicologi di oggi (almeno quelli che fanno ricerca empirica) sono comportamentisti [radicali] “.

Skinner predisse che il comportamentismo radicale, un giorno, sarebbe “morto”, ma per via del suo successo non del fallimento (Skinner, 1969, p.267). Comprese che avrebbe cessato di essere considerata come una filosofia distinta e sarebbe diventato parte di quella che abbiamo chiamato scienza psicologica in generale.

Lungi dall’essere un capitolo del passato della psicologia, le idee, i principi e la scienza del comportamentismo radicale continuano a plasmare e contribuire a discussioni, teorie, pratiche e ricerche contemporanee. Forse ora è il momento di riabilitare la nostra comprensione di una delle posizioni filosofiche più influenti e importanti della psicologia moderna.

Tradotto e adattato da

sonya psicologa

Sonya SABBATINO – Istituto Watson, Torino – Centro di terapia e scuola di specializzazione ministeriale post lauream

Contatti:
Istituto Watson, c.so Vinzaglio 12 bis, Torino; Tel.: 011 56 111 02; Email: info@iwatson.com; Site: www.iwatson.com

Autori

Freddy Jackson Brown is a clinical psychologist
freddy.jacksonbrown@nbt.nhs.uk

Duncan Gillard is an educational psychologist
duncan.gillard@bristol.gov.uk

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