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Introduzione alla Psicologia Positiva Applicata – Prospettive per una vita felice

Fin dagli anni ’60 e ’70 del secolo scorso il tema della qualità della vita ha attirato l’interesse di studiosi e operatori di diverse discipline quali medicina, psicologia, politica e sociologia. In quegli anni in Italia vi fu il boom economico e contemporaneamente un insieme di rivolgimenti sociali che esplicitamente o implicitamente parlavano di nuovi valori: di salute, benessere, partecipazione e, appunto, qualità della vita.

La valutazione della qualità della vita, dell’individuo o delle comunità, attraverso gli indicatori oggettivi quali il reddito, la salute fisica, le condizioni abitative e i ruoli sociali è risultata deficitaria ed è stata completata considerando gli indicatori soggettivi. Un individuo, infatti, valuta il proprio stato di salute, il proprio livello di soddisfazione nell’ambito sociale, lavorativo e personale, i traguardi raggiunti e gli obiettivi futuri secondo parametri che possono differire anche profondamente dalle condizioni oggettive in cui si trova.
In ambito psicologico, lo studio del benessere soggettivo ha dato origine al movimento della Psicologia Positiva, formalizzatosi alla fine degli anni ‘90.

Lo scopo della psicologia positiva è quello di catalizzare un cambiamento nella psicologia in modo che a fianco dello studio di “come riparare al peggio nella vita” ci sia spazio anche per la costruzione delle qualità positive: una scienza e una professione per comprendere e costruire quei fattori che permettono agli individui, alle comunità e alle società di “fiorire” e raggiungere un funzionamento ottimale.

In particolare si possono individuare tre aree di studio:

  • le emozioni positive (inclusa la felicità);
  • i tratti positivi: potenzialità, virtù e abilità (comprese le capacità atletiche);
  • le istituzioni positive (democrazia, famiglia, libertà di informazione, temi condivisi con la sociologia).

Le istituzioni positive supportano i tratti positivi che a loro volta supportano le emozioni positive.
Questi aspetti “positivi” svolgono il loro ruolo tanto nei momenti di benessere quanto in quelli di crisi: permettono un rapido dissolversi delle emozioni negative, arginano le difficoltà della vita e i disturbi psicologici, e migliorano le capacità di recupero dell’individuo.
La psicologia positiva può consentire di superare l’antitesi tra positivo e negativo, tipica della cultura occidentale, e proporsi come una prospettiva da cui studiare l’essere umano in tutte le sue sfaccettature, focalizzandosi sul ruolo fondamentale delle risorse e delle potenzialità dell’individuo, e avvalendosi di metodologie scientifiche. Ecco quindi che in quest’ottica è possibile applicare la prospettiva della psicologia positiva nella disabilità e nella psicopatologia, negli interventi di prevenzione e di terapia.

Lo studio del benessere

Lo studio del benessere viene affrontato facendo riferimento a due prospettive di base, quella edonica e quella eudemonica. Da un punto di vista edonico, il benessere è inteso come felicità soggettiva derivata sia dal piacere edonico che dalla soddisfazione per il raggiungimento di obiettivi personali.
In tal senso il costrutto di riferimento è quello di “benessere soggettivo” elaborato da Ed Diener che prevede una componente cognitiva e una emotiva. La prima si riferisce alla soddisfazione per i diversi ambiti di vita, mentre la seconda alla frequenza delle emozioni e precisamente al prevalere di quelle positive su quelle negative. La rilevazione del benessere soggettivo può avvenire tramite semplici scale auto-somministrate e questo ha facilitato l’uso di questi strumenti in studi di popolazione.
Da un punto di vista eudemonico, il benessere è inteso come un processo di sviluppo ed espressione delle virtù individuali in armonia con il mondo circostante. Il costrutto più noto e utilizzato all’interno di questa prospettiva è quello di “benessere psicologico” elaborato da Carol Ryff che prevede sei dimensioni: auto accettazione, relazioni sociali positive, crescita personale, propositi di vita, padronanza dell’ambiente e autonomia.
Le due prospettive di studio del benessere non sono in contrasto tra loro e possono essere integrate in una visione di benessere personale come funzionamento ottimale.

La definizione di salute mentale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO) sembra recepire al meglio quanto proposto dalla psicologia positiva: «Uno stato di benessere in cui l’individuo realizza le proprie abilità, può affrontare gli stress normali della vita, può lavorare in modo produttivo e fruttuoso, ed è in grado di fornire un contributo alla sua comunità».
Emerge chiaramente che la salute mentale è qualcosa di più della mera assenza di disturbi mentali.
Su questa linea di pensiero, Corey Keyes sostiene l’opportunità di considerare salute mentale e malattia mentale come due fattori distinti: la salute mentale completa è uno stato in cui gli individui sono liberi da disturbi mentali e contemporaneamente vivono in una gamma ottimale di funzionamento umano detta “flourishing”, letteralmente “fiorire”. Quest’ultima condizione – connotata da adattamento, chiare mete nella vita, crescita e resilienza – contrasta con la patologia ma anche con il “languishing” (in italiano “languente, languido”), uno stato in cui le persone descrivono le proprie vite come stagnanti, vuote pur in assenza di un disturbo mentale clinicamente significativo.
Ecco quindi che l’assenza di un disturbo mentale non implica necessariamente la presenza di salute mentale intesa come una condizione di pieno benessere (flourishing) così come l’assenza di salute mentale non implica la presenza di disturbi mentali (languishing).
Il flourishing si associa a migliori condizioni di salute fisica, a meno giorni di lavoro persi, e a un minor uso dei servizi sanitari e può essere considerato un obiettivo nelle strategie di promozione della salute mentale.
Ma perché i costrutti della psicologia positiva possano diventare dei punti di riferimento negli studi e negli interventi è necessario darne definizioni operazionali e che possano tradursi in vere e proprie diagnosi di benessere condivise, e questa è probabilmente la sfida che si sta cogliendo con il flourishing e le potenzialità personali.
Quanto è stato utile a livello metodologico nello studio degli aspetti psicopatologici può essere ora applicato anche nello studio e nella promozione del funzionamento ottimale.

La promozione del benessere

In Italia, partendo dalle ricerche di Fordyce sui 14 fondamentali della felicità, il gruppo milanese coordinato da Gian Franco Goldwurm ha messo a punto un training di gruppo per migliorare il benessere personale, denominato Subjective Well-Being Training (SWBT), un percorso di cambiamento attraverso strategie di tipo cognitivo-comportamentale, adattabile al setting individuale.
Nel formato esteso di gruppo, il SWBT è un programma composto da otto incontri. Ogni incontro ha una struttura definita. In apertura si condivide l’esperienza maturata nella settimana precedente, quindi si approfondiscono tre o quattro fondamentali della felicità di Fordyce attraverso il confronto e delle esercitazioni pratiche, infine si assegnano gli homeworks, ovvero esercizi per il cambiamento personale da sperimentare prima dell’incontro successivo e da riportare in appositi diari predisposti ad hoc per il SWBT.

I 14 fondamentali riflettono un insieme di valori diffusi nelle civiltà occidentali ritenuti capaci di rendere felici la maggior parte delle persone:

  1. Essere più attivi e tenersi occupati
  2.  Passare più tempo socializzando
  3. Essere produttivi svolgendo attività che abbiano significato
  4. Organizzarsi meglio e pianificare le cose
  5. Smettere di preoccuparsi
  6. Ridimensionare le proprie aspettative e aspirazioni
  7. Sviluppare pensieri ottimistici e positivi
  8. Essere orientati sul presente
  9. Lavorare ad una sana personalità
  10. Sviluppare una personalità socievole
  11. Essere se stessi
  12. Eliminare sentimenti negativi e problemi
  13. I rapporti intimi sono la fonte principale di felicità
  14. Considerare la felicità la priorità numero 1

Ognuno potrà concentrarsi maggiormente su quei fondamentali che avverte come più carenti o più centrali. Non è utile forzare una persona ad accettare un fondamentale vissuto come troppo lontano da sé.
Quindi non sarà necessario seguire tutti i fondamentali per diventare felici. Da questa considerazione nasce la scelta di mettere a punto una versione ridotta del SWBT che, in quattro incontri settimanali di gruppo della durata di due ore ciascuno, approfondisce una selezione di fondamentali.

Tutti i gruppi di training hanno ottenuto miglioramenti significativi e durevoli riguardo il benessere soggettivo in confronto a quanto accaduto ai gruppi di controllo (nessun intervento, yoga, sport, altri corsi del tempo libero). Dopo più di 10 anni di ricerche e interventi, si può affermare che se una persona, libera da disturbi psicologici e che vuole aumentare il proprio benessere personale, segue un corso come il SWBT può ottenere miglioramenti:

a) nello stile di vita (ambito comportamentale);
b) nella soddisfazione della vita, nelle attitudini e nei valori (ambito cognitivo);
c) nella frequenza e nella durata delle emozioni positive (ambito emotivo).

La psicoterapia positiva

Nel corso degli anni sono aumentati gli studi sull’impiego dei modelli di psicologia positiva in psicoterapia. Ad esempio, la ricerca sulla prevenzione delle ricadute nel trattamento della depressione ha portato Fava e collaboratori ad elaborare la “Well-being Therapy”. Si tratta di una strategia terapeutica breve per migliorare il benessere basata sul modello multidimensionale elaborato da Carol Ryff. I campi in cui è potenzialmente applicabile comprendono i protocolli terapeutici cognitivo-comportamentali, i disturbi affettivi, i disturbi d’ansia, i disturbi dell’immagine corporea, la medicina psicosomatica e la geriatria
È più recente il lavoro sulla “psicoterapia positiva”, in particolare per il trattamento della depressione. La psicoterapia positiva si basa sull’ipotesi che la depressione possa essere trattata non solo riducendo i sintomi depressivi ma anche sviluppando direttamente emozioni positive, potenzialità personali e significato di vita.
Sono molteplici i punti di contatto tra l’approccio cognitivo-comportamentale e gli interventi applicativi in psicologia positiva, inclusa la psicoterapia positiva:

  • la comune predilezione per il metodo sperimentale come fondamento della ricerca e dell’avanzamento della conoscenza;
  • la condivisione di alcuni assunti di base che si riflettono in una simile visione dell’uomo come organismo attivo;
  • la preferenza a scegliere mete chiare e specifiche e a focalizzarsi sul qui-ed-ora;
  • l’uso di strategie e tecniche per il cambiamento comuni.

Prendendo a prestito le parole di Gian Franco Goldwurm possiamo sottolineare come “l’obiettivo terapeutico può consistere solo in parte nel superamento della sofferenza e nell’adattamento del soggetto all’ambiente. In buona parte invece consiste nella trasformazione del cliente in agente attivo del cambiamento, non solo suo ma anche del suo ambiente […] l’obiettivo finale non dovrebbe essere solo il superamento dei disturbi, ma anche il miglioramento della qualità della vita sia oggettivamente che soggettivamente”.

Autore Articolo

Federico Colombo: Psicologo Psicoterapeuta c/o Istituto Milanese di Psicoterapia Cognitivo Comportamentale e Socio Fondatore della Società Italiana di Psicologia Positiva

Bibliografia

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