La TCC viene usata da anni in moltissimi contesti ma, in questo caso, è stata applicata ai detenuti di un carcere del nord d’Italia ovviamente con limitazioni e, spesso, solo parzialmente.
Il carcere è una struttura di per sé chiusa e avulsa alle novità.
La giornata segue ritmi scanditi da regole ben precise: l’ora d’aria, la socialità, le ispezioni, il pranzo, le visite mediche o con i parenti, …
Molte persone manifestano disturbi dell’adattamento che, dalla definizione del DSM è: “[…] lo sviluppo di sintomi emotivi o comportamentali in risposta ad uno o più fattori stressanti identificabili, che si manifesta entro tre mesi dall’insorgenza del fattore o dei fattori stressanti.
Questi sintomi o comportamenti sono clinicamente significativi come evidenziato da uno dei seguenti aspetti:
Ci si può mai adattare alla vita in carcere? Ed è sinonimo di salute mentale?
Molti non si adattano, altri fin troppo e finiscono per essere istituzionalizzati.
Spesso le diagnosi sono anche di disturbo della personalità, frequentemente del cluster B.
I comportamenti autolesivi sono frequenti e riconoscere le emozioni ad esso associate non sempre agevole.
Gli incontri non sempre si svolgono con regolarità per svariati motivi ed è indispensabile finire ogni seduta come se fosse l’ultima proprio perché non si sa se ce ne sarà un’altra.
Tutto ciò porta ad avere difficoltà nello stabilire obiettivi condivisi, spesso sono micro-obiettivi ma non per questo meno importanti.
Nonostante le difficoltà molte tecniche cognitivo-comportamentali possono essere utilizzate come per esempio: tenere un diario, il colloquio socratico ponendo domande che aiutano il paziente a scoprire la
relazione tra le proprie idee, scelte, azioni e sofferenza emotiva, il comportamento assertivo per cercare di migliorare le relazioni sociali e favorire l’autocontrollo (tecnica difficile da utilizzare ma fondamentale in un ambiente pieno di aggressività e di alta emotività espressa).
La TCC lavora sul presente e, in questo particolare ambito, è essenziale.
Nonostante ciò cercare di capire attraverso il racconto della vita del paziente cosa lo ha portato ad essere quello che è ora riveste grande importanza; spesso le storie di vita vengono raccontate in modo frammentato e, in un certo senso, slegato dall’attuale condizione di detenuto.
Cercare di elaborare col paziente l’“abc” del comportamento è, in
alcuni casi arduo, in altri più agevole ma, se possibile farlo, è d’aiuto.
Anche per i terapeuti che svolgono la loro professione in questo “strano” luogo la TCC aiuta a elaborare i propri vissuti, a lasciarsi coinvolgere ma poi ad abbandonare dentro le mura tutto quello che non ci appartiene e che causerebbe solo un’inutile sofferenza.
Articolo scritto da da Broglio Elena autrice di “Un mondo a parte” Edizioni Clavilux.
Il sito www.aiamc.it è il portale di riferimento italiano che raccoglie terapeuti specializzati in Terapia Cognitivo Comportamentale sul territorio italiano.
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