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CERCA PSICOTERAPEUTA

IL DISTURBO D’ANSIA SOCIALE (FOBIA SOCIALE)

Contenuti dell’articolo:

  • Definizione e caratteristiche del disturbo
  • Quali sono le cause del disturbo d’ansia sociale?
  • Un modello cognitivo dell’ansia sociale
  • La terapia cognitivo-comportamentale dell’ansia sociale
ansia sociale

Definizione e caratteristiche del disturbo

Il disturbo d’ansia sociale (ancora spesso definito con la precedente e più comune etichetta di Fobia sociale), è un disturbo psicologico classificato dal DSM 5 all’interno del capitolo dedicato ai Disturbi d’ansia.
Tale disturbo consiste principalmente in una “marcata, o intensa, paura o ansia relative a situazioni sociali in cui l’individuo può essere esaminato dagli altri” (DSM 5TR, APA, 2023): possiamo considerare come cuore del problema l’eccessiva importanza (e conseguente timore) attribuita dalla persona al giudizio altrui.

I sintomi riportati dal DSM 5 sono i seguenti:

  • Paura marcata e persistente di una o più situazioni sociali o prestazionali nelle quali la persona è esposta al possibile giudizio degli altri.
  • La persona teme che agirà in modo tale o manifesterà sintomi di ansia che saranno valutati negativamente
  • Le situazioni sociali temute provocano quasi invariabilmente paura o ansia
  • Le situazioni sociali temute sono evitate oppure sopportate con paura o ansia intense
  • La paura o l’ansia sono sproporzionate rispetto alla reale minaccia posta dalla situazione sociale o dal contesto socioculturale
  • La paura, l’ansia e l’evitamento sono persistenti e durano tipicamente 6 mesi o più
  • Creano disagio clinicamente significativo e compromissione del funzionamento in vari ambiti

Le situazioni tipicamente temute possono riguardare interazioni sociali (ad esempio, partecipare ad una conversazione di gruppo, a una cena etc.), fare qualcosa in presenza di altri (ad esempio mangiare in pubblico) oppure emettere una prestazione di fronte a diverse persone (ad esempio, tenere un discorso ad una conferenza).
Alcuni autori distinguono a tale proposito l’ansia sociale dall’ansia legata alla performance (Liebowitz, 1987): nel primo caso la persona sarebbe attivata dalla sensazione di essere osservata e quindi giudicata dagli altri, mentre nel secondo il timore del giudizio sarebbe focalizzato sull’adeguatezza del compito che sta eseguendo.

“Komi can’t communicate” Credits Tomohito Oda

Tra le più comuni situazioni riferite dalle persone che soffrono di questo disturbo si osservano attività quotidiane come mangiare e bere in pubblico, scrivere e telefonare davanti ad altre persone, chiedere informazioni e sostenere conversazioni, partecipare a riunioni di lavoro o studio oppure a feste, cene etc.

Le persone con disturbo d’ansia sociale legata solo alla performance spesso svolgono attività o professioni che le espongono in modo particolare all’attenzione/giudizio altrui come gli attori, i musicisti e in generale chi svolge una professione che richiede frequenti esibizioni in pubblico; in questi casi, generalmente il problema non si manifesta in situazioni sociali nelle quali non è richiesta una esibizione pubblica.

Le persone che soffrono di questo disturbo si preoccupano di essere giudicate per le loro manifestazioni ansiose, che le renderebbero, agli occhi degli altri, “strane”, “deboli”, “inadeguate” con un conseguente vissuto di vergogna e umiliazione.

In particolare, sintomi mediati dal sistema beta-adrenergico quali il rossore, la sudorazione e il tremore vengono investiti, a causa della loro “visibilità”, di un ulteriore significato ansiogeno (che possiamo sintetizzare come “se ne accorgono tutti”) e diventano a loro volta dei pericoli che devono essere evitati ad ogni costo.

L’attivazione ansiosa può essere, in alcune situazioni, estremamente intensa e fastidiosa, così come “intollerabile” è l’emozione della vergogna, ragion per cui vengono messi in atto frequenti comportamenti protettivi e di evitamento.

La prevalenza a 12 mesi di questo disturbo varia in diversi studi e in diversi contesti: si va da una prevalenza americana stimata intorno al 7% ad una stima media europea del 2,3%.

Lo studio ESEMeD-WMH riporta una prevalenza italiana a 12 mesi dell’1% e lifetime del 2,1% (De Girolamo et al, 2006).
Il disturbo esordisce più comunemente durante la preadolescenza e può riscontrarsi anche nella prima infanzia.

Ne@ bambin@ il disturbo può essere diagnosticato se il timore riguarda l’essere esposti a coetanei e non solo agli adulti e può comportare, in alcuni casi, mutismo selettivo.

Infine, la letteratura riporta, a proposito delle differenze di genere, una prevalenza femminile, in particolare nella popolazione adolescente.

Per le sue caratteristiche, il disturbo d’ansia sociale ha conseguenze funzionali che possono essere molto invalidanti per le persone, poiché molte delle attività che caratterizzano la nostra società richiedono l’esposizione agli altri: si pensi per esempio alla scuola, al lavoro, alle attività sportive e ricreative.

Al disturbo sono associati tassi più elevati di abbandono scolastico, difficoltà e v realizzazione lavorativa e/o disoccupazione, riduzione della qualità della vita e maggiore presenza di sintomi depressivi associati.

Quali sono le cause del Disturbo d’ansia sociale?

Come per altri disturbi psicologici, anche per l’ansia sociale si fa riferimento a modelli multifattoriali di tipo bio-psico-sociale: non esiste quindi una unica causa ma un insieme di fattori che possono predisporre al problema, che può esprimersi in seguito ad uno o più fattori precipitanti (stressors).

Tra i fattori psicologici troviamo esperienze di condizionamento diretto (frequenti sono le persone che raccontano di avere fatto esperienze traumatiche caratterizzate da “brutte figure” culminate in ridicolizzazione o bullismo) o osservativo (avere assistito alla ridicolizzazione di qualcun altr@); anche nell’educazione familiare possiamo riscontrare modelli ricorrenti improntati all’isolamento e di conseguenza alla scarsa dimestichezza con situazioni di esposizione sociale che impediscono lo sviluppo di adeguate abilità sociali, alla severità e al giudizio sulle prestazioni, all’induzione della vergogna come strategia punitiva.

Tra i fattori genetici e biologici, la letteratura riporta la familiarità per i disturbi d’ansia e la caratteristica temperamentale dell’inibizione comportamentale. Interessante è la prospettiva evoluzionistica, che mette in relazione la sensibilità umana al giudizio/rifiuto sociale alle caratteristiche della specie in origine legata, per la propria sopravvivenza, al permanere in un gruppo stabile: secondo questa lettura, tutt@ noi saremmo in qualche misura orientati a preoccuparci di essere accettat@ dagli altri perché da questo è dipesa la nostra sopravvivenza (Gilbert & Trower, 2001)

Un modello cognitivo dell’ansia sociale

Un modello cognitivo dettagliato dell’Ansia Sociale è quello di Clark e Wells (1995; Wells, Clark, 1997). L’aspetto interessante di tale approccio è l’enfasi posta sul ruolo del processo di autovalutazione messo in atto dalla persona fobica in una situazione critica.

A differenza di una linea di pensiero tradizionale in psicologia, che concettualizza le difficoltà esperite da@ fobic@ sociali in termini di deficit di abilità sociali, questo modello include e valorizza l’interferenza causata dall’autovalutazione negativa della propria condotta sociale.

La caratteristica principale della fobia sociale è il forte desiderio di dare un’impressione favorevole di sé agli altri, accompagnato da una grande insicurezza e incertezza sulla sua riuscita.

Quando la persona affronta una situazione sociale, si attivano le convinzioni relative al potenziale fallimento della prestazione e alle implicazioni connesse alla manifestazione dei sintomi ansiosi.

Tali credenze disfunzionali si condensano in tre nuclei principali:

  1. credenze su di sé (ad es. “sono noios@”, “sono una delusione”);
  2. convinzioni sottoposte a condizioni (ad es. “se mostrerò di essere ansios@ gli altri penseranno che sono incompetente”, “se parlo in modo incomprensibile la gente penserà che sono stupid@”);
  3. rigide regole sociali per le prestazioni in pubblico (ad es. “devo apparire sempre intelligente e fluente nei discorsi”, “non devo mostrarmi ansios@”).
  4. Le reazioni alle valutazioni di pericolo sociale sono: – concentrare l’attenzione su di sé e porsi in una prospettiva di osservazione esterna, piuttosto che concentrarsi sulla situazione sociale e sul feedback degli altri (public self consciousness, o più recentemente spotlight effect ovvero la sensazione essere sotto gli occhi di tutti e di vedersi con gli occhi degli altri).
    – il monitoraggio di sensazioni, immagini e impressioni di sé. I giudizi di pericolo attivano, inoltre, la risposta di allerta che consiste in cambiamenti fisiologici, cognitivi, emotivi e comportamentali.
    Tali sintomi di ansia costituiscono ulteriori fonti di pericolo dal momento che, giudicati come minacce per le proprie capacità, vanno a loro volta ad influenzare l’opinione di sé elaborata dalla persona, conducendo ad una escalation dell’ansia e al mantenimento del problema.

Modello cognitivo dell’ansia sociale

Modello cognitivo dell’ansia sociale
I comportamenti protettivi aumentano i sintomi somatici e cognitivi

L’evitamento delle situazioni sociali, che tende ad allargarsi e a generalizzarsi fino a raggiungere, in alcune situazioni, un isolamento estremo, costituisce un importante di fattore di mantenimento del disturbo, poiché agisce da potente agente di rinforzo Situazione Convinzioni Pericoli sociali percepiti/pensieri automatici Elaborazione del sé nel contesto sociale Comportamenti protettivi Sintomi somatici e cognitivi negativo: abbandonare la situazione permette infatti di sentirsi velocemente sollevati e porterà la persona a ripetere l’evitamento in situazioni successive simili.

Similmente, anche l’ansia anticipatoria diminuisce al solo prendere la decisione della rinuncia: per esempio, una persona può provare intensa attivazione al pensiero di una festa alla quale dovrebbe partecipare e sentirsi immediatamente sollevata nel momento in cui telefona per disdire.

I comportamenti protettivi assumono il ruolo di mantenimento secondo modalità simili: immaginiamo ad esempio che una persona tema che il proprio tremore venga notato da tutti, dando origine a giudizi di disprezzo nei suoi confronti.
Questo timore porterà a cercare di nascondere questo sintomo in vari modi (ad esempio cercando di non esporre le mani all’osservazione altrui, oppure impugnando più saldamente un bicchiere), rendendo più probabile l’adozione di comportamenti “innaturali” che, paradossalmente, finiscono per attrarre ancora di più l’attenzione, generando un circolo vizioso.

Un ulteriore aspetto che caratterizza le persone che soffrono di ansia sociale è la ruminazione: dopo un evento sociale spesso viene sperimentata una serie di emozioni disforiche (vergogna, tristezza) legate ad una continua rianalisi degli eventi e del proprio comportamento che esita in giudizi negativi sulla propria performance (“ho detto solo sciocchezze” , “sono stat@ zitt@ tutto il tempo”) e su di sé (“sono una frana”, “non piaccio a nessuno”), portando la persona a saltare alle conclusioni (“la prossima volta sto a casa”). Similmente, il rimuginio anticipatorio consiste in una proiezione immaginativa della propria performance sociale, generalmente negativa e catastrofica, che porta la persona a pensare frequentemente a quello che la aspetta, immaginando scenari in cui fallirà (“mi vedo lì davanti a tutt@, completamente nel pallone”).

La terapia cognitivo-comportamentale del disturbo d’ansia sociale

La TCC (indicata dalle linee guida internazionali come trattamento efficace per il disturbo d’ansia sociale –  NICE National Institute for Health and Clinical Excellence, 2011) integra ed armonizza diverse tecniche e strategie terapeutiche all’interno di un progetto di trattamento personalizzato.

La tradizione cognitivo comportamentale, infatti, propone una serie di procedure di provata efficacia e quindi fornisce a@ clinic@ una ricca “cassetta degli attrezzi”, la scelta dei quali dipende da una formulazione dettagliata ed individualizzata del caso: se è vero che le persone che soffrono di ansia sociale condividono sintomi e caratteristiche simili, è anche vero che possiamo trovarci di fronte a importanti differenze e quindi esigenze di trattamento, ad esempio la terapia combinata (psicoterapia più trattamento farmacologico di supporto, generalmente a base di farmaci antidepressivi SSRI e ansiolitici).

Qui di seguito sono elencati i principali obiettivi e le principali tecniche che possono essere proposte in un percorso di terapia cognitivo-comportamentale:

  1. Fornire informazioni e normalizzare l’esperienza del pazient@ tramite una esaustiva psicoeducazione sul disturbo
  2. Aiutare la persona a leggere secondo il modello cognitivo comportamentale le esperienze quotidiane di disagio, acquisendo consapevolezza e favorendo la capacità di discriminare le componenti emotive, cognitive e comportamentali del disturbo tramite l’analisi funzionale
  3. Favorire il distanziamento e/o la ristrutturazione cognitiva di convinzioni disfunzionali che originano e mantengono il disturbo, giungendo ad una lettura meno emotiva e più razionale delle esperienze ansiogene
  4. Favorire l’acquisizione di abilità di gestione e regolazione delle emozioni (ad esempio attraverso tecniche di respirazione e di rilassamento)
  5. Favorire la disponibilità della persona a sperimentare e mostrare stati di attivazione ansiosa eliminando progressivamente gli evitamenti ed i comportamenti protettivi. Attraverso programmi personalizzati di esposizione graduale, si aiuta la persona a riacquisire gradi di libertà nella propria vita e a ridurre l’isolamento, rendendo il proprio comportamento maggiormente efficace e in grado di avvicinare l’individuo ai propri obiettivi e bisogni; si rende inoltre la persona più libera dal bisogno di mostrarsi sempre “perfetta”, performante e sempre calma
  6. Ridurre l’importanza percepita del giudizio altrui e favorire una prospettiva indipendente, migliorando altresì le capacità di accettazione in caso di rifiuto/disapprovazione da parte degli altri e la consapevolezza di non dovere piacere a tutti
  7. Effettuare esperimenti comportamentali con lo scopo di mettere alla prova le proprie previsioni catastrofiche
  8. Migliorare ed implementare le abilità sociali, tramite l’apprendimento di tecniche di comunicazione assertiva
  9. Modificare gli schemi maladattivi precoci e favorire l’acquisizione di una migliore autostima
  10. Aumentare la consapevolezza della rimuginazione e diminuirne l’impatto nella propria esperienza psicologica, favorendo la capacità di restare connessi con il momento presente e a non lasciarsi trasportare altrove dalla propria mente
  11. Favorire il mantenimento delle acquisizioni ottenute in terapia, mantenendo i comportamenti appresi tramite appositi programmi di prevenzione delle ricadute.

Come da tradizione, anche per il trattamento della fobia sociale si fa riferimento al modello dell’empirismo collaborativo all’interno di una solida relazione terapeutica: terapeuta e paziente lavorano insieme, concordano obiettivi, stabiliscono i passi da fare, verificano l’efficacia e correggono il tiro quando necessario. L’esecuzione degli homeworks è un elemento centrale della terapia e prevede che la persona generalizzi e metta in pratica quanto appreso nella propria vita quotidiana.

Autrici Articolo

  • DOTT.SSA GUIA GASLINI PSICOLOGA SPECIALIZZANDA SCUOLA ASIPSE MILANO

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    Bibliografia

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